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Come la Pixar salvò il Natale

  • Immagine del redattore: Star Lord
    Star Lord
  • 7 gen 2018
  • Tempo di lettura: 4 min


Devo essere sincero: prima di vedere questo film in sala qualche giorno fa non gli avrei dato una lira; i trailer non erano riusciti a convincermi del tutto ma, parliamoci chiaro, è un film Disney, bisognava vederlo… per farmi ricredere totalmente. Ebbene sì, Coco mi ha fatto innamorare della sua estetica, dei suoi personaggi e della sua storia, ma parliamone come si deve.

Per la regia di Lee Unkrich, già famoso, per dirne un paio, grazie a “Monsters e Co.” e “Toy Story 3”, Coco approda nelle sale italiane proponendosi come l’ormai annuale Classico Disney di Natale. La mia principale perplessità sul film era dovuta infatti proprio al film precedente a questo di casa Pixar, ossia Cars 3, a mio parere insipido e di cui, appunto, già

ricordo poco e niente. Lasciandoci quindi alle spalle corse e macchine parlanti questa volta

veniamo accompagnati in Messico, per scoprire quella che, a conti fatti, è la festività

principale della cultura messicana: El Dìa de Muertos, o se preferite il Giorno dei Morti.


Festività di stampo Cristiana assimilabile al Nostro 1 Novembre ma che affonda le sue radici in una tradizione ben più antica e diversa da quella cristiana, imprimendo dunque a questa festività una spiritualità e un significato totalmente differente.

Il nostro giovane protagonista è un ragazzino di nome Miguel Rivera, ultimo di una numerosa famiglia di calzolai che alcune generazioni addietro ne aveva fatto il mestiere di famiglia, bandendo al tempo stesso la musica per motivi che verranno affrontati durante il film e che quindi io non starò qui a raccontarvi. Miguel ha però la musica nel sangue e sente che la sua famiglia lo stia limitando negandogli di fare quello in cui lui è più bravo: suonare. Il suo sogno infatti è proprio quello di seguire le orme del grande musicista Ernesto de la Cruz. Si ritroverà dunque ad affrontare nel giorno dei morti un viaggio alla (ri)scoperta della sua famiglia nell’aldilà, quando i due mondi entrano in contatto.

Lasciandoci alle spalle il lato prettamente narrativo della pellicola, vorrei soffermarmi brevemente sui personaggi così detti “secondari” di questo film che, in realtà, trovo i veri protagonisti della vicenda. Il viaggio di Miguel non è altro che il pretesto per raccontare un tragico dramma familiare che ha spaccato una famiglia e che neanche dopo la morte può dirsi concluso, ma che proprio grazie al ragazzo troverà le risposte che merita. Il personaggio di Hector vi farà commuovere e non mancherete di simpatizzare con Imelda, per non parlare della vera spalla comica del film: Dante, che forse riuscirà a farvi dimenticare la bruttezza dei cani nudi messicani (non offendeteli però che mica è colpa loro se sono brutti).


L’eccezionale comparto tecnico a cui Pixar ci ha ormai abituato esplode in questo tripudio di colori e luci, facendo in vero sembrare più “smorto” il mondo dei vivi (pessimo gioco di parole). L’aldilà è infatti un luogo festoso, dove la vita semplicemente continua normalmente, a patto che qualcuno sulla Terra ancora si ricordi del defunto. Quello che sembra un giorno di tristezza e ricordo si trasforma in una grande festa, paradossalmente una celebrazione della vita con tutta la sua gioia, la musica e i colori. Ed è dunque obbligatorio parlare delle canzoni di questo film: semplicemente stupende, dal ritmo latino americano "classico", perché certo non stiamo parlando di Despacito sia chiaro, e che sul finale regalerà quella che a mio parere è la canzone migliore del film nonché la scena più bella della pellicola (sto parlando di un certo spettacolo…).

Volevo ora riportare la vostra attenzione su un dettaglio solo accennato all’inizio di questo sproloquio: la tradizione. Uno degli argomenti cardine potremmo dire, motivo per cui la Pixar non si è limitata a rappresentare un aldilà uguale al mondo dei vivi, una sorta di “aldiquà” ma ha voluto silenziosamente raccontarci la storia di questa credenza.

Come? Bhe se non ci aveste fatto caso, le fondamenta dell’enorme mondo dei morti non sono altro che delle gigantesche piramidi mesoamericane. Meravigliati?

E pensare che Pepita non è altro che una bellissima chimera costituita da alcuni degli animali sacri per i Maya, come ad esempio il giaguaro. O che le calendule sono proprio il fiore simbolo dei morti, sapevate?

Chi non vorrebbe quel gattone a casa a farti compagnia davanti al camino in una giornata d’inverno? Chi dice no, mente!

Alla Pixar i lavori approssimativi non piacciono e questi esempi penso calzino a pennello per dimostrare la cura e la dovizia di particolari infusi in questo film. Perché il bello dei film Pixar secondo me è proprio questo: film leggibili a più livelli e che riescono ad emozionare non solo i bambini ma anche gli adulti, con chiavi di lettura nascoste ai più piccoli ma che nelle mani di chi sa usarle rivelano un secondo film parallelo e altrettanto bello.

Vi ho trattenuti già abbastanza, credo di aver detto tutto quello che pensavo su Coco senza rovinarvi nulla e spero di avervi persuaso almeno un po’ a vederlo, se ancora non lo avevate fatto (rimediate immediatamente!). Vi lascio con la mia canzone preferita del film, attenzione agli spoiler.



-Giovanni


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